Il Riformista
- New Politics, Monday 1 March 2004
Salvare la democrazia
dall’età dell’informazione
Oggi c’è bisogno di un
e-government equilibrato
“È la fine della
politica così come la abbiamo conosciuta?”
Negli Stati Uniti, giornalisti
di tutto il paese si sono ricorsi per scrivere il loro pezzo su Internet
e le presidenziali. I cittadini stanno usando Internet per connettersi
(con MeetUp.com per esempio) e partecipare alla campagna di loro scelta.
Personalmente mi hanno fatto
per la prima volta la domande della “fine della politica” nel 1994 quando
E-Democracy.Org lanciò il primo sito web al mondo con contenuti
elettorali. Da allora ho visto ondate di eccesso di entusiasmo e scetticismo
circa il ruolo dei nuovi media nelle elezioni, nel governo e nella comunità
locale.
Per quanto mi riguarda, il
risultato delle elezioni, a parte Internet, rimane praticamente lo stesso
– qualcuno vince e qualcuno perde. La maggior parte dei cittadini mantiene
un atteggiamento di cinismo riguardo la politica e il governo. A parte
rispondere a qualche e-mail e pubblicare on line la loro biografia, i politici
sembrano felici di ignorare le opportunità offerte dai media on
line per il governo finché non si presenta un nuovo appuntamento
elettorale.
Qualcosa è cambiato.
Negli ultimi dieci anni le
i governi hanno avuto la possibilità di usare le nuove tecnologie
attraverso l’e-government per dialogare direttamente con i cittadini. La
pubblica amministrazione ha avuto la possibilità di diventare più
trasparente, accessibile e rafforzare la fiducia dei cittadini. Invece,
la maggior parte delle amministrazione ha imboccato la strada dei servizi
prima e la democrazia dopo. L’accesso all’informazione è diventato
più agevole e molti processi rappresentativi sono più aperti
che prima dell’avvento di Internet, ma per la maggior parte dei cittadini
le cose sono cambiate poco.
Imboccare una strada è
differente che sceglierne una. La stragrande maggioranza degli “utenti”
della pubblica amministrazione cerca convenienza ed efficienza nei servizi;
tuttavia, in democrazia, noi tutti siamo anche “cittadini”. Siamo i titolari
dello Stato. I governi si sono concentrati sull’uso unidirezionale di Internet
e sulle transazioni elettroniche perché pochi cittadini hanno chiesto
qualcosa di diverso. La democrazia nell’età dell’informazione non
è una scelta che esisterà sulla base della domanda dei cittadini.
Quello che è cambiato
è che la politica ordinaria (politics as usual) ha trovato il modo
di usare Internet per perseguire i suoi specifici interessi. La promozione
di temi on line, sebbene per molti versi abbia un effetto di democratizzazione,
è usata principalmente per generare rumore rivolto ai nostri rappresentanti
eletti.
I governi in paesi connessi
in rete affrontano oggi una sfida basilare. Gli interessi politici stanno
iniziando a far sentire la propria voce on line, ma i governo, compresi
i nostri politici eletti e istituzioni rappresentative, sono largamente
incapaci di “ascoltare” on line.
Quando ho avuto occasione
di parlare in Europa dell’Est, quello che davvero mi ha colpito è
che l’e-government, così concepito, non è in grado di incontrare
la volontà delle persone. La scarsezza di investimenti per i nostri
bisogni on line di democrazia rappresentativa, comparata alle ingenti somme
destinate ai servizi amministrativi, sta cambiando i rapporti di forza
nelle nostre democrazie.
Nonostante molte ricerche
significative e progetti pilota nel Regno Unito, Svezia, e Australia per
esempio, è incredibile come la sola nazione o paese ad aver adottato
una politica formale di democrazia elettronica sia stato lo stato australiano
del Queensland. Non che ci sia bisogno di una politica speciale per mettere
in piedi delle attività significative di democrazia elettronica,
ma si tratta di qualcosa che aiuterebbe a smuovere i governi al di là
della retorica e degli esperimenti per salvare davvero la democrazia dagli
aspetti negativi dell’età dell’informazione.
Cosa bisognerebbe fare?
Al Summit Mondiale per la
Società dell’Informazione a Ginevra, ho promosso il concetto di
“evoluzione democratica” piuttosto che la strada della “guerra civile virtuale”
(risentiamoci dopo le elezioni americane del 2004. Prevedo che l’uso degli
strumenti di campagna on line da parte dei soliti politicanti avvelenerà
l’immagine che i cittadini hanno del mezzo in politica e governo). Le amministrazione,
come le democrazie, devono agire subito in modi specifici per assicurare
la loro capacità di ascoltare i cittadini, realizzare migliori decisioni
pubbliche, e coinvolgere più efficacemente il pubblico, la società
civile, il mondo delle imprese nell’implementazione delle politiche pubbliche.
Nel mio intervento a Ginevra,
ho suggerito che le seguenti buone pratiche di e-democracy dovrebbero essere
rese universali attraverso apposite leggi:
1) Tutti gli avvisi di incontri
pubblici insieme agli ordini del giorno e ai documenti che sono distribuiti
agli incontro devono anche essere pubblicati on line
2) Tutti gli organi rappresentativi
o preposti ad approvare regolamenti dovrebbero rendere disponibile on line
tutte le proposte di legge e gli emendamenti non appena una qualunque versione
sia distribuita al pubblico con valore di legge
3) Ogni cittadino deve essere
messo nelle condizioni di accedere ad elenchi aggiornati di tutti coloro
che lo rappresentano a ogni livello di governo. Inoltre, devono essere
messe in opera le dovute pratiche e tecnologie per permettere di comunicare
gli uni con gli altri ai cittadini e, molto importante, agli amministratori
pubblici eletti o nominati
Complessivamente, quando
si tratta di parlare di fondi per l’e-government, suggerisco che non meno
che il 10 percento sia messo da parte per azioni volte a promuovere la
partecipazione dei cittadini e la democrazia. La partecipazione dei cittadini
comprende forme a due vie di comunicazione, come anche i test di usabilità,
i focus group con gli utenti, i sistemi di feedback e i sondaggi, e applicazioni
speciali concepite per le istituzioni rappresentative e per gli amministratori
eletti.
Dopo aver parlato centinaia
di volte per 24 paesi, per lo più ad amministrazioni interessate
all’e-democracy, mi è diventato chiaro che quello che è possibile
non è probabile. Le migliori pratiche e le tecnologie per l’e-democracy
non sono condivide efficacemente. Se vogliamo che il potenziale dimostrato
del nuovo messo si dispieghi, c’è bisogno di un intento democratico.
Entrando la seconda decade di attività legate all’e-democracy, ora
è tempo di usare gli strumenti straordinari che abbiamo di fronte
and costruire una democrazia della società dell’informazione per
noi e le generazioni future.
Steven Clift è un
esperto di e-democray riconosciuto a livello internazione e Presidente
di E-Democracy.Org. I suoi articoli sono disponibili su http://publicus.net.
Traduzione di Mattia Miani.